lunedì 26 marzo 2012

Che fine ha fatto il PATOM?

Articolo pubblicato il 19 gennaio 2012 su Il Democratico con il titolo: “Monte Velino/ Muore un Orso bruno marsicano. Specie a gravissimo rischio d’estinzione”.

Che fine ha fatto il PATOM?

La notizia del ritrovamento di un esemplare maschio di orso bruno marsicano agonizzante nel Parco Naturale Regionale del Sirente-Velino, deceduto nonostante le cure dei veterinari del vicino Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, probabilmente a causa di una grave infezione virale, è passata quasi inosservata ai maggiori organi di stampa. Scarsa risonanza è stata data al comunicato in cui l’ente parco richiamava la regione Abruzzo alle sue responsabilità in quanto firmataria dell’accordo PATOM (Piano d’Azione per la Tutela dell’Orso Marsicano). Il PATOM venne stipulato in seguito all’avvelenamento di tre esemplari di orso bruno nel 2007 che suscitò lo sdegno dell’intera nazione e la sollevazione di quanti, amanti degli animali, della natura o semplicemente della loro terra, avevano temuto per la sopravvivenza di questo magnifico endemismo dell’Italia centrale. Svanita l’eco mediatica e sopito lo sdegno per colpevoli mai arrestati, l’orso è stato nuovamente relegato nella sua dimensione fiabesca di abitante dei boschi dell’Appennino centrale, durevole e immutabile come le montagne che tanto spesso ne richiamano forma e colore.

Purtroppo l’orso bruno marsicano resta una specie a gravissimo rischio d’estinzione, oggi ridotta a circa 40 esemplari. La scarsa variabilità genetica della popolazione superstite la predisporrebbe a malattie epidemiche. Se l’orso ritrovato nel Parco Sirente-Velino fosse deceduto a causa di una grave infezione virale trasmessagli dagli animali domestici all’alpeggio dovremmo temere per la sopravvivenza dell’intera sottospecie, mentre le istituzioni sembrano infischiarsene e continuare a consentire tutte quelle pratiche, nocive all’orso, che intendevano contrastare con la firma del PATOM. I parchi nazionali vengono sempre più confusi con aree verdi urbane o extraurbane, una sorta di “giardini” o “ranch” per turisti e residenti, mentre tutt’attorno deve continuare a “crescere” un’economia regionale votata allo sfruttamento incondizionato del territorio. Ci si aspetta che la fauna che vive in queste aree protette, spesso asservite all’uso e consumo umano, debba rispettarne i confini come se si trovasse, appunto, nelle gabbie di un grande giardino zoologico. Animali come l’orso non conoscono confini geografici, non girano con la mappa. A tal fine cresce l’importanza delle aree contigue e dei corridoi ecologici che dovrebbero ridurre, ai sensi del PATOM, l’attrito tra selvatici e attività antropiche. Invece, la regione Abruzzo, dimentica degli impegni presi con la firma dell’accordo, ha autorizzato un calendario venatorio estremamente aggressivo nelle aree appena esterne al “giardino”, continua ad autorizzare un uso smodato delle risorse naturali anche all’interno delle aree protette, ventila assurde proposte di legge come la riduzione del Parco Regionale Velino-Sirente (quello in cui è stato trovato l’orso moribondo) per consentire l’edificazione anche sull’Altopiano delle Rocche e punta alla creazione di nuove infrastrutture impattanti.

Non vogliamo cacciare allevatori e agricoltori dai Parchi Nazionali. L’orso ha convissuto con l’uomo per millenni senza beneficiare degli odierni limiti alla caccia, anzi, era il trofeo più ambito. Però nei secoli scorsi le attività umane erano più rispettose dell’ambiente. L’allevamento, un tempo quasi esclusivamente ovino, attualmente predilige animali di grossa taglia più redditizi, bovini ed equini, producendo danni irreversibili all’ecosistema prativo e alla fauna selvatica se non regolamentato. Anche l’accesso indiscriminato di turisti e non all’habitat dell’orso è una minaccia alla conservazione della specie.

Ci si chiede perché l’orso non colonizzi stabilmente estesi parchi nazionali quali quelli del Gran Sasso, della Majella e dei Sibillini, pressoché contigui tra loro e “ansiosi” di riceverlo in quanto risorsa turistica. Forse perché l’orso non segue i cartelli stradali, perché la popolazione attuale non è ancora così numerosa da sentire l’esigenza di emigrare dal Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise e stabilirsi altrove, perché l’orso si sta estinguendo lentamente proprio nelle aree deputate alla sua salvaguardia, perché il PATOM resta solo sulla carta, collocando la Regione Abruzzo in una dimensione giuridica aliena dai precetti della Direttiva Habitat dell’Unione Europea e ancorata a un modello di crescita da Terzo Mondo. La Regione Verde d’Europa sta tradendo se stessa in un’illogica corsa allo sterminio delle sue risorse naturali, alla contaminazione di fiumi e aria, a riempirsi la bocca di vuoti slogan, ambiente e turismo, senza far seguire i fatti alle parole, finché un’ondata di sdegno non seguirà all’estinzione dell’orso che nessun PATOM potrà più tentare di salvare.

Mario Cipollone

Simboli contro

Articolo pubblicato il 16 marzo 2012 su Il Democratico con il titolo: “Penne: la storia di un popolo vale un supermercato?”.

Simboli contro

Da alcuni mesi l’Archeoclub di Pescara sta sostenendo una battaglia per evitare che venga costruito un supermercato alla base delle mura cittadine di Penne. Il centro storico di Penne è stato recentemente incluso nel club dei Borghi più Belli d’Italia. Resta difficile capire in che dimensione geopolitica collocare la concessione, reiterata negli anni, di costruire un centro commerciale in un luogo così simbolico della città vestina. Così due costruzioni, quella medievale e quella a venire, diventano simboli opposti di due concezioni diverse e antitetiche di sviluppo e valorizzazione del territorio. Il progresso, quello che, per intenderci, ha portato l’acqua calda nelle nostre case, più di un’automobile e un cellulare per famiglia, comodità e benessere diffusi, ma allo stesso tempo ha impoverito i nostri fiumi, ha ridotto sull’orlo dell’estinzione animali simbolo della fauna italica (l’orso bruno marsicano) e ci sta avvelenando con l’inquinamento chimico, sembra non doversi arrestare di fronte a nulla.

Le promesse “politiche” di ricchezza e nuovi posti di lavoro nell’immediato non sempre corrispondono a un’effettiva realtà di depredazione e spoliazione di ricchezza e lavoro rigenerabili nel lungo termine. La congiuntura attuale potrebbe aiutarci a dirimere la controversia tra il “vetusto” simbolo dell’identità pennese e il baluardo del progresso che avanza. La crisi economica globale che sta paralizzando i nostri sistemi produttivi “moderni” indurrebbe a rivedere affermazioni e scelte del recente passato che hanno progressivamente svalutato la ricchezza rinnovabile che la natura ha donato agli uomini attraverso l’agricoltura, la pastorizia e le attività inerenti. Oggi si affaccia con sempre maggiore insistenza la parola turismo a emendare quanto siamo stati ingiustamente abituati a guardare con sospetto e una punta di disprezzo perché ritenuto “superato”, “inumano”, abbruttente. Così il termine agriturismo conferisce una connotazione più gentile e intellettuale al prefisso considerato meno nobile. Ecoturismo concilia la romantica, talvolta molesta, difesa della natura con una più prosaica prospettiva economica e occupazionale. Turismo eno-gastronomico richiama la ricchezza di prodotti della nostra terra generosa spostando l’attenzione dal settore primario, sempre più vilipeso anche dalle istituzioni nazionali, all’aspetto più borghese del commercio diretto dei prodotti della terra. Un borgo come Penne ha la vocazione a tutti questi prefissi e suffissi potendo contare su un’agricoltura e un artigianato che si fondano sulla tradizione, su una tradizione meglio rappresentata dalle mura medievali che da un moderno supermercato. Certo nella società odierna si ha bisogno anche dei supermercati, ma il buon senso imporrebbe che questi non vadano a sovrapporsi ai gioielli del passato, a uno dei motivi per cui la capitale vestina è stata inclusa nel 2011 tra i Borghi più Belli d’Italia. Si tenga presente che la parola “turismo” è l’unica voce positiva (con una crescita attestabile al 6% lo scorso anno) di una disastrata economia regionale ancora orientata alla logica del cemento e dell’industrializzazione.

Bisogna far in modo che la politica cittadina trovi al più presto una soluzione che soddisfi il più possibile le parti e le indennizzi se necessario. Qualcuno ha detto che è ipocrita difendere ora le mura di Penne che versano da decenni nel più totale abbandono. Il centro commerciale può essere una forma di recupero architettonico? È difficile che quanto si è conservato nei secoli a sugellare un armonico rapporto tra uomo e natura possa essere superato in valenze storico-paesaggistiche da una struttura moderna di tipo industriale. La logica del vecchio che deve scomparire è stata già portatrice di immani sfaceli nella regione Abruzzo. Basta vedere quanto è accaduto a Pescara, dove oggi si rimpiange di aver rinunciato alla propria storia con troppa noncuranza. Il nostro appello è che Penne non commetta lo stesso errore finché è in tempo.

Mario Cipollone