giovedì 8 gennaio 2009

Lettera all'orso

Gandhi sosteneva che “la civiltà di un popolo si vede da come tratta i propri animali”. Vorrei poter dire all’orso, emblema delle specie in pericolo nella nostra regione, che è la politica, la peggiore delle attività antropiche con cui ha a che fare da millenni, la prima causa della sua prevedibile estinzione. Altrimenti a cosa o a chi imputare la colpa della scarsa vigilanza sul patrimonio naturalistico abruzzese? Non ritengo fantascientifico ipotizzare che un controllo satellitare dei boschi possa consentire la tempestiva individuazione di piromani e bracconieri. Inoltre una massiccia riforestazione di aree demaniali, non solo montane, potrebbe contenere il dissesto idrogeologico e prevenire frane e allagamenti. Certo si tratta di interventi costosi, ma sicuramente meno costosi dei milioni di euro spesi per domare gli incendi o per sanare i danni economici e d’immagine all’impropriamente detta “Regione verde d’Europa”, in ultimo incapace di proteggere le sue rare specie animali e vegetali. Lo stato italiano e le amministrazioni locali hanno clamorosamente fallito se sono tuttora più disposte a spendere per riparare anziché investire in azioni di sensibilizzazione dei cittadini sulla necessità di rispettare l’ambiente. Esempio: in occasione della notizia appresa da “Il Centro” sullo stanziamento di cospicui fondi per l’ammodernamento della linea ferroviaria Roma-Pescara, ho scritto al Presidente della Regione e al manager di Trenitalia per ricevere assicurazioni che il tracciato sarà recintato al fine di impedire agli animali selvatici l’attraversamento dei binari con il rischio di essere investiti dai treni, a mia memoria, causa negli anni passati del decesso di vari esemplari di lupi e orsi. Spero che il silenzio degli Amministratori sia affermativo. In alcuni paesi europei, molte ferrovie e arterie viarie sono recintate e dotate di sottopassaggi per consentire l’attraversamento degli animali: i cosiddetti "corridoi ecologici". Forse il nostro povero orso ha avuto la sventura di essere nato nel paese sbagliato, un po’ come quel tale, innocente, condannato a morte in uno stato dove vige la pena capitale... Se c’è la volontà, si può ancora cambiare.

(pubblicato sul quotidiano "Il Centro" nel 2008)

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